Diciamo la verità: io non ho mai voglia di andare in piscina. Finisco la giornata di lavoro e vorrei solo sciallarmi sul divano a vedere la tv.
“Con questo quadrimestre basta corso di nuoto” mi dicono forze provenienti dalla mia pancia.
Così quando varco la soglia della piscina penso che probabilmente saranno le ultime lezioni.
Poi incontro una mia compagna di corso e subito il suo sorriso mi fa venire voglia di tornare.
Lei per quest’anno finisce, così ci scambiamo i numeri di telefono, per incoraggiarci a vicenda a ripartire.
In vasca parto bene. L’esercizio in immersione mi riesce in buona parte e l’istruttore si complimenta con me.
“Il movimento della testa è giusto” mi dice.
Incasso un “brava” anche nell’esercizio successivo.
Quando ho iniziato questo percorso i complimenti che ricevevo, forse perché nello sport non ne avevo mai ricevuti, li assorbivo di più.
Ora mi fanno meno effetto, proprio perché non sono un evento tanto sporadico.
In acqua mi sento bene, anche se mi trascino dietro la paura che ancora provo ripensando ai conflitti interiori dei primi tempi.
Se il pensiero corre lì, faccio più fatica a nuotare. Se invece la testa è sgombra i risultati sono migliori.
Nel procedere mi porto dietro molte sensazioni fisiche: l’acqua che si infila nel naso, il rischio di bere, le gambe che non spingono mai quanto vorrei.
Ripenso alle parole di un amico prete: “Lo sport aiuta a tenere il contatto con la concretezza della vita”.
È dalla lezione di spinning di martedì che ci penso e credo che abbia ragione.
Lo sport ci lega al momento presente, al qui e ora.
Se la testa fugge via, il corpo rischia di seguirla, riducendo le proprie performance.
Anche se il pensiero vola, arriva sempre qualcosa a richiamarti indietro, che sia uno schizzo d’acqua, la voce dell’istruttore o la risata di un compagno di corso.
Tra le difficoltà maggiori che incontro nella lezione di oggi c’è la rana, l’unico stile in cui credevo di saper nuotare.
Dopo quasi cinquant’anni, infatti, ho scoperto che i movimenti che facevo erano scorretti, perché braccia e gambe non si muovono in modo simultaneo.
Ora devo ricominciare da capo e trovare un nuovo automatismo.
Ci provo, ma sono lentissima e alla seconda vasca chiedo la grazia all’istruttore, la possibilità di muovere almeno le gambe a stile libero.
Grazie accordata.
Lo sforzo che ho fatto però mi regala la sensazione di stare imparando qualcosa.
Riuscirei anche nella rana se continuassi?
È la curiosità che mi fa credere che nonostante alcune voci interiori dicano basta, io potrei tornare ancora in piscina.

Maggio 2, 2024