Oggi sono tornata da qualche giorno di vacanza, carica di soddisfazioni.
L’albergo aveva la piscina e io non mi sono tirata indietro.
C’era mia madre ed era la prima volta da tanto tempo che mi vedeva nuotare.
Io sono scesa in acqua e ho cominciato con quello che so fare: braccia a rana e gambe a stile.
Poi mi sono detta: “Conviene esercitarmi anche con quello che so fare meno, lo stile libero”.
Non mi sono sentita osservata, né giudicata, così sono riuscita a nuotare senza troppa fatica.
Non sono stata nemmeno stata tormentata da voci ostili e la libertà interiore mi ha regalato un po’ di sprint.
Mia madre è rimasta stupefatta, quasi non mi riconosceva.
“È mia figlia quella?”
Secondo lei mi denigro troppo.
“Considera il punto di partenza, prima nuotavi a cagnolino senza nemmeno mettere la testa sott’acqua”.
Forse ha ragione lei, dovrei puntare di più sull’autostima.
Qui però non sono stata in competizione con nessuno.
Non vedevo i miei compagni di corso passare tra i mediani, mentre io rimanevo tra i principianti.
L’unica sfida è stata con me stessa e così non mi è più sembrato di fare sforzi inutili.
Chi c’era però a giudicarmi durante il corso di nuoto?
L’istruttore mi correggeva, ma avevo più paura di quello che poteva pensare di me che non della realtà.
Temevo mi guardasse come l’imbranata del corso, impegnata in una sorta di accanimento terapeutico.
I pensieri che gli attribuivo però erano i miei.
Mie le paure, miei i giudizi più duri.
Perché alla fine il peggior giudice di te stesso sei sempre tu.
Per la prima volta nella piscina dell’albergo sono stata fiera dei miei progressi.
Lo ero così tanto che avrei voluto telefonare a papà per raccontarglielo, anche se non c’è più.
Lui aveva tentato di insegnarmi a nuotare, quindi voglio credere che da lassù mi abbia visto e sia fiero di me.
È il desiderio di ogni bambino in fondo, che i genitori siano orgogliosi di lui.
Così almeno è stato per me e diventando adulta non ho mai smesso di pensarla così.

Luglio 2, 2024