“La coordinazione è questione di abitudine” dice il sostituto del mio istruttore di nuoto.
Io cerco di stamparmi questa frase nella mente, per non lasciarla andare una volta tornata a casa.
Crederci sarebbe la cosa più importante, mi regalerebbe forza in più.
Non che non ne abbia, perché nonostante io sia stanca e tentata di dare forfait, sono di nuovo in piscina.
Per la prima volta da mesi, poi, nuoto senza guardare l’ora e mi distraggo con meno facilità.
A farmi annaspare sono soprattutto i pensieri negativi: “sono un impiastro”, “non sono all’altezza di una gara”, “rimarrò per sempre al corso principianti”.
Se mi fluiscono nella mente sbaglio.
Ciononostante riesco a fare una vasca intera a stile libero senza dovermi fermare per respirare.
Il sostituito istruttore mi viene incontro: “respira a sinistra se ti riesce meglio”.
Così mi sento subito più sciolta.
Rispetto alle volte precedenti, mi sembra di aver guadagnato in sicurezza.
Il contatto con l’acqua mi appaga, anche se prima di venire non ne avevo voglia.
Fuori e dentro la piscina sembro una persona diversa.
Fuori più fragile, dentro più grintosa.
Poi arriva la nuotata a rana.
Braccia e gambe non si devono muovere contemporaneamente.
Dovrei studiare come fare.
Dovrei vedere qualcuno che lo fa.
La prima volta non mi riesce, la seconda nemmeno.
La terza comincio a provarci.
Vorrei vedermi dall’alto per capire come nuoto, come appare dall’esterno quello che a me costa un titanico sforzo.
Io di me stessa sono il peggior giudice.
“Sono un impiastro” ripeto al sostituto istruttore.
Lui smentisce.
Mi dice: “sei stata brava”.
Oggi ho dato il massimo, forse da domani imparerò a demolirmi un po’ di meno.

Aprile 11, 2024